I più recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di tutela dei marchi di forma


Passiamo in rassegna le più recenti pronunce giudiziali in materia di tutelabilità dei marchi di forma (registrati e non registrati) che hanno ulteriormente approfondito alcune tematiche da sempre particolarmente rilevanti rispetto a tale peculiare tipologia di diritti: quando una forma può dirsi avente valore sostanziale e/o funzionale e/o corrispondente alla forma propria del prodotto stesso e quindi non può essere tutelata come marchio? Ed invece quando, superati tali impedimenti di tutela, la forma di un prodotto può ritenersi dotata di capacità distintiva e può quindi essere tutelata come marchio?

 

1. Tutela della forma come marchio: le previsioni normative

Come noto, anche la forma di un prodotto può, in linea di principio, essere tutelata (oltre che, sussistendone i relativi requisiti, come design e/o come opera protetta dal diritto d’autore) come marchio, vuoi registrato, vuoi di fatto. L’art. 7 CPI, infatti, stabilisce espressamente che “Possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa tutti i segni” tra cui espressamente “la forma del prodotto o della confezione di esso”.

Tuttavia, perché ciò possa avvenire, non basta che la forma (come ogni altro marchio) sia nuova, dotata di capacità distintiva e lecita. Ai sensi dell’art. 9 CPI, infatti, “non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni costituiti esclusivamente: a) dalla forma, o altra caratteristica, imposta dalla natura stessa del prodotto; b) dalla forma, o altra caratteristica, del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico; c) dalla forma, o altra caratteristica, che dà un valore sostanziale al prodotto”.

Qui di seguito, quindi, esamineremo alcune recenti pronunce che hanno ulteriormente chiarito la portata dei requisiti e dei limiti di accesso alla tutela come marchio delle forme.

 

2. Marchio di forma e valore sostanziale

Numerose sono state le pronunce che, nell’ultimo anno, hanno avuto modo di affrontare il tema della sussistenza o meno del valore sostanziale della forma, tale da precludere l’accesso alla tutela di essa come marchio. 

A tal proposito - al fine di comprendere cosa debba intendersi, in concreto, per forma dotata di valore sostanziale - è stato anzitutto ribadito[1] che “quando la forma (intesa come pregio estetico) del prodotto concorre con altri elementi (le caratteristiche tecniche ed economiche) nella scelta del consumatore, essa diviene elemento importante che conferisce valore sostanziale al prodotto ai sensi dell'art. 9 c.p.i.” precisando, da un lato, che “si ha valore sostanziale quando la forma di un prodotto è un elemento – anche se non il solo – che svolge un ruolo molto importante all'atto della scelta del consumatore, in quanto l'aspetto esteriore del prodotto deve essere dotato di un appeal idoneo ad influenzare o addirittura a determinare le scelte d'acquisto del pubblico” e dall’altro che “la nozione di forma che dà un valore sostanziale al prodotto non è poi limitata alla forma di prodotti aventi esclusivamente un valore artistico o ornamentale, potendo concorrere più valori sostanziali” tra cui “vi sono, oltre alla percezione da parte del pubblico, anche la natura dei prodotti, il valore artistico della forma, la sua specificità rispetto ad altre forme abitualmente in uso sul mercato, la rilevante differenza di prezzo o , ancora, l'elaborazione di una strategia promozionale che esalti le principali caratteristiche estetiche del prodotto” di modo che “le qualità estetiche della forma o altre caratteristiche essenziali non necessariamente devono costituire il principale o quantomeno uno dei motivi principali che inducono il consumatore a decidere l'acquisto” essendo invece “sufficiente che, al momento dell'acquisto, il consumatore prenda comunque in considerazione anche l'aspetto estetico come fattore importante, non importa se prevalente o preponderante (rispetto a motivazioni tecniche ed economiche), o costituente l’unica ragione, purché comunque esso sia idoneo ad influenzare detta scelta dei consumatori”. Il tutto concludendo come, nel caso oggetto di specifica valutazione, “la capacità di seduzione espressa” dalle forme de quonon si concentra infatti unicamente nelle relative caratteristiche tecniche e funzionali … ma risiede anche, se non soprattutto, nella bellezza ed eleganza delle linee, che non a caso si sono impresse nell'immaginario collettivo e risultano ancora oggi dotate di un enorme fascino e di una considerevole forza di suggestione”.

In termini del tutto analoghi si è del resto espressa anche la giurisprudenza di legittimità che, in particolare, ha evidenziato come il divieto di tutela come marchio delle forme atte a conferire valore sostanziale al prodotto “si riferisce alle forme o caratteristiche che aumentano la forza attrattiva del prodotto, conferendogli un particolare valore di mercato, così contribuendo a influenzare e determinare le decisioni di acquisto da parte del pubblico, anche eventualmente insieme ad altre caratteristiche del prodotto"[2].

Al contrario, si è ritenuto irrilevante, ai fini di conferire valore sostanziale al prodotto, “la circostanza che una forma abbia le caratteristiche per essere brevettata come modello ornamentale” in quanto ciò “non esclude di per sé la possibilità di registrarla come marchio, non potendo affermarsi che ogni forma, in quanto abbia carattere individualizzante debba necessariamente dare valore sostanziale al bene a cui inerisce[3]: il tutto sottolineando poi come “l'utilizzo … di determinate forme e dettagli costituisca un fattore estetico del prodotto che seppur possa orientare la scelta del consumatore all'acquisto del medesimo rispetto ad altri prodotti dello stesso tipo, non possa ritenersi una caratteristica tale da dare un valore sostanziale al bene tanto da indurre il consumatore all'acquisto del medesimo solo in presenza di quella caratteristica. Sul punto, si rileva come è frutto della comune esperienza come i prodotti” della tipologia di cui è causa (borse n.d.r.) “siano scelti non solo per la loro forma tridimensionale o per le loro caratteristiche estetiche, ma anche per il tipo di lavorazione … la loro funzionalità, la qualità della materia utilizzata, le rifiniture, e, pertanto, le caratteristiche dei modelli in oggetto costituiscono una qualità del prodotto che pur potendo essere rilevante nell'orientare la scelta del consumatore a preferire ed acquistare quella particolare merce, non è l'unica caratteristica che determina il consumatore a detta scelta”.

 

3. Marchio di forma e valore funzionale

Meno numerose (e meno recenti) sono invece le pronunce che hanno affrontato il tema della non tutelabilità come marchio di forme dotate di valore funzionale ossia di forme necessarie per conseguire un determinato risultato tecnico.

 invece, è stato anzitutto sottolineato come non possano essere considerati tali le “forme utili ma non brevettabili, in quanto non dotate di sufficiente originalità e che non rappresentano un nuovo concetto innovativo” di modo che le stesse non possano essere considerate “forme … necessarie per raggiungere determinati risultati tecnici” e, ciò, anche in ragione del fatto che la pretesa utilità attribuita alla forma rivendicata come marchio possa “essere raggiunt(a) anche attraverso forme alternative e non confondibili[4].

Proprio la presenza o meno, sul mercato rilevante, di numerose varianti di possibile attuazione della forma “tecnica” è un fattore che è stato ripetutamente valorizzato dalla giurisprudenza per riconoscere od escludere la proteggibilità della forma come marchio. In questo senso è stato ad esempio sottolineato come “la forma oggetto dei marchi … rappresenta soltanto una delle possibili forme di realizzazione” del prodotto di specie “non potendo dunque costituire forma funzionale. Nulla vieterebbe infatti di commercializzare” dei prodotti dotati di forme anche leggermente diverse, cosicché la “asserita violazione del divieto di registrazione come marchio dettato con riferimento alla forma funzionale non pare ravvisabile nel caso in esame[5].

Del pari, anche se meno recentemente, la giurisprudenza ha escluso che la forma debba “considerarsi necessaria per il raggiungimento (di un) … risultato tecnico” (in particolare quello dell’accensione o regolazione dei fuochi e della apertura degli sportelli di una cucina n.d.r.) nel caso in cui essa sia “del tutto slegata rispetto alla finalità pratica cui i prodotti sono destinati”. Il tutto, ricordando comunque come, poiché il caso di specie aveva ad oggetto marchi registrati, “opera una presunzione di validità degli stessi, con la conseguenza che spetta a colui che ne contesti la validità fornire la prova dei propri assunti[6].

 

4. Marchio di forma e forma imposta dalla natura del prodotto

Non molte sono poi anche le pronunce che, quanto meno di recente, hanno affrontato il tema della non tutelabilità come marchio di una forma imposta dalla natura stessa del prodotto ossia della forma che il prodotto deve necessariamente avere per essere tale.

Rispetto a tale tema, si è ad esempio sottolineato come “la legge … esclude la registrabilità come marchio soltanto della forma imposta dalla forma base che caratterizza un certo tipo di prodotto, al fine di impedire la monopolizzazione (potenzialmente) sine die della forma essenziale di un genere di prodotto”, sottolineando al contempo come “al fine di poter configurare tale ipotesi di impedimento alla registrazione del marchio di forma, è necessario che il segno non si differenzi sostanzialmente dalle forme di base del tipo di prodotto di cui trattasi, comunemente utilizzate nel commercio e che esso non appaia come una semplice variante di tali forme” in particolare valorizzando la presenza nella forma rivendicata come marchio, al fine di superare l’impedimento alla tutela, di “dettagli” che “risultano in grado di differenziarsi sufficientemente da quelle dei prodotti concorrenti dello stesso genereconsiderato anche l’affollamento del settore e la diversità delle forme utilizzate nel tempo[7].

 

Più in generale, si è poi ritenuto sussistente tale impedimento di tutela ogni qual volta la forma che si vorrebbe tutelare come marchio “rappresent(a) caratteristiche intrinseche al prodotto cui ineriscono, ne costituiscono il nucleo, con la conseguenza che il marchio corrisponde proprio al prodotto, ne è elemento intrinseco[8]

 

5. Marchio di forma e capacità distintiva

Come detto, una forma che non ricada negli impedimenti sopra esaminati, per essere tutelabile come marchio deve poi in ogni caso essere anche distintiva.

A tal proposito, da sempre la giurisprudenza sottolinea come “è nozione di comune esperienza che il consumatore medio non è avvezzo ad individuare la provenienza del prodotto sulla base della sola forma o confezione in assenza di ulteriori elementi grafici o testuali e che la capacità distintiva del marchio di forma deve desumersi dalla circostanza che effettivamente il modello utilizzato comporti una associazione esclusiva o quantomeno preponderante ad un determinato brand[9]

Nello stesso senso, si è altresì sottolineato come “il marchio di forma può avere carattere distintivo quando si discosti in modo significativo dalla norma e dagli usi di settore con modalità agevolmente distinguibili dal consumatore” e che la forma può “assumere, altresì, carattere distintivo, anche tramite il secondary meaning deducibile da vari fattori quali la quota di mercato detenuta dal marchio in questione, la frequenza e durata dell'uso del marchio e l'estensione geografica della sua diffusione, l'entità degli investimenti effettuati per favorire la diffusione del marchio, la percentuale degli ambienti interessati che identificano, grazie al marchio, il prodotto come proveniente da una determinata impresa[10]. Secondary meaning che, invece, non può ovviamente consentire alla forma di superare la sua eventuale valenza sostanziale e/o funzionale e/o necessitata.

In quest’ottica è stata esclusa la sussistenza di capacità distintiva della forma di un prodotto quando sul mercato siano presenti “molteplici produttori” che vendono prodotti “con forme in tutto simili” a quelle per cui si rivendica tutela[11]. E ciò in quanto, prosegue il provvedimento “La presenza di un tale numero di competitors che commercializzano da anni … prodotti con forma simile a quella registrata non può che aver portato ad una significativa volgarizzazione della forma stessa quand’anche originariamente individualizzata…La portata del fenomeno è tale che, in questa sede, la capacità di volgarizzazione insita nella risalente commercializzazione, da parte di un consistente numero di produttori, di forme analoghe a quelle per cui è causa, non può ritenersi adeguatamente contrastata dall’entità degli investimenti pubblicitari e dalla risalenza degli spot pubblicitari”, con una applicazione del concetto di volgarizzazione, invero, non molto convincente, proprio in ragione della presenza di numerose forme utilizzabili ed utilizzate nel medesimo settore.

Con specifico riferimento alla possibilità di invocare un marchio di forma di fatto, la giurisprudenza dopo aver ribadito come “la genesi di un marchio di fatto non si ricollega automaticamente ed esclusivamente, al suo uso, pur protratto ed esclusivo, ma richiede la prova che tale uso gli abbia attribuito notorietà, ossia abbia determinato il diffuso radicamento della forza distintiva del segno nella percezione dei consumatori. A tal fine, occorre, dunque, accertare che il segno abbia acquisito, in forza della sua utilizzazione, la funzione di strumento di comunicazione, distintivo della provenienza del prodotto e del servizio, e, quindi, delle caratteristiche, anche qualitative, dello stesso” ha poi sottolineato come “con specifico riferimento al marchio di forma di fatto…non è sufficiente fornire la prova che il prodotto è stato posto sul mercato, sia pure in quantità rilevanti, ma occorre anche provare che la forma tridimensionale abbia acquisito un sufficiente grado d'individualità e distintività, tanto da richiamare al consumatore la sua origine e da comportare un rischio di confusione ove da altri imitata”. Il tutto, ribadendo poi come non possa ritenersi una forma dotata di capacità distintiva laddove “sul mercato di riferimento … sono presenti numerose imprese concorrenti che realizzano, vendono, promuovono ed utilizzano prodotti, packaging ed espositori dotati delle medesime caratteristiche, estetiche e di forma, di quelli dell'attrice, con ciò privando quest’ultimi di qualsivoglia originalità, creatività e/o capacità distintiva, indipendentemente dal momento della loro immissione in commercio, non essendo la creatività di un prodotto indissolubilmente legata al suo prioritario ingresso sul mercato di riferimento.
 


[1] Trib. Milano, 14 febbraio 2024, Ferrari vs. CMC, in www.darts-ip.com

[2] Cass. 28 novembre 2023 n. 33100

[3] Trib. Roma, 6 dicembre 2023, Hermes vs. Art’s in www.darts-ip.com. Nello stesso senso cfr. anche Trib. Roma, 12 agosto 2023, FashionLink vs. Borbonese, ivi.

[4] Trib. Roma, 10 novembre 2022, Ineos vs. Land Rover, in www.darts-ip.com

[5] Trib. Torino, 17 febbraio 2021, Mocca vs. Ferrero, in www.darts-ip.com

[6] Trib. Venezia, 3 febbraio 2020, Angelo Po vs. Cayenne e alt. in www.darts-ip.com

[7] Trib. Roma, 10 novembre 2022, Ineos vs. Land Rover cit.

[8] Trib. Roma, 22 febbraio 2022, Sulzer vs. Vannini, in www.darts-ip.com

[9] Trib. Roma, 21 febbraio 2024, Hermes vs. Miky Club, in www.darts-ip.com

[10] Trib. Roma, 6 dicembre 2023, Hermes vs. Art’s cit.

[11]Trib. Brescia, 18 marzo 2024, Barilla vs. Tedesco, in www.darts-ip.com

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