Prodotti d’arredo e mercato dell’usato.

Criticità e opportunità tra diritti IP, loro esaurimento e condotte pregiudizievoli.

Prodotti d’arredo e mercato dell’usato.

Secondo un recente studio, il mercato dell’usato - anche nel settore “casa e persona”, cui afferisce quello dell’arredo - ha oggi raggiunto valori significativi (5,7 miliardi di Euro l’anno) anche a livello nazionale[1], trainato in particolare da due tendenze di consumo del pubblico: la passione per il vintage, e l’attenzione per una costante riduzione del proprio impatto ambientale. Quale spazio residua, per i produttori, per “controllare” anche questa interessante fetta di mercato e quale ruolo possono avere, a tal fine, i diritti di proprietà intellettuale e industriale?

 

1. Diritti di proprietà intellettuale ed esaurimento

Come noto, quando un prodotto che incorpora un diritto di proprietà industriale o intellettuale (che sia un marchio, un design, un brevetto o anche un diritto d’autore) viene commercializzato nel nostro Paese o in altro stato dello Spazio Economico Europeo con il consenso del titolare del diritto in questione, le facoltà esclusive connesse a tale diritto si esauriscono e, per l’effetto, il relativo titolare non può vietare ai terzi la successiva commercializzazione, sempre nello spazio economico europeo, del prodotto (a livello internazionale, inteso come mercati extra-UE, invece l’esaurimento non opera ed è quindi sempre possibile bloccare la commercializzazione in territorio UE di un prodotto commercializzato col consenso del titolare al di fuori di esso).

In termini concreti: il titolare del diritto di privativa vanta un’esclusiva solo sulla prima immissione in commercio del prodotto (ad opera sua o di un terzo cui egli abbia prestato il consenso), ma non può impedirne i successivi atti di circolazione. 

Sulla carta, l’esaurimento del diritto di proprietà industriale dovrebbe porsi quindi quale limite al produttore sia per impedire che i propri prodotti vengano commercializzati da terzi sul mercato dell’usato, sia per consentirgli di “governare” un simile mercato.

Il principio dell’esaurimento ha però dei limiti. Vediamo quali.
 

2. Esaurimento, limiti e motivi legittimi

Nel nostro ordinamento, il principio dell’esaurimento dei diritti di proprietà industriale è disciplinato dall’art. 5 CPI, a mente del quale “Le facoltà esclusive attribuite dal presente codice al titolare di un diritto di proprietà industriale si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello Spazio economico europeo. Questa limitazione dei poteri del titolare, tuttavia, non si applica quando sussistano motivi legittimi perché il titolare stesso si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato di questi è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio”.

Occorre quindi domandarsi se, nell’andamento del mercato dell’usato, vi possano essere dei motivi legittimi che consentano al titolare di un diritto di proprietà industriale di negare l’intervenuto esaurimento del diritto stesso e, quindi, impedire la rivendita del proprio prodotto sul mercato dell’usato o, quanto meno, governare tale mercato.

A fronte del tenore letterale della norma, l’esaurimento del diritto non si verifica quando il prodotto che incorpora il diritto sia stato modificato o alterato. In concreto, la giurisprudenza ha però chiarito che non qualsiasi alterazione può essere considerata idonea a far venir meno il principio dell’esaurimento, dovendosi comunque verificare una alterazione rilevante. Ad esempio, è stata ritenuta tale “l’uso di etichette … contraffatte”, nonché l’impiego di “packaging alterato” in quanto condotta ritenuta idonea a pregiudicare il diritto del titolare ad “identificare esattamente la genuinità dei prodotti e la loro fonte di provenienza, comunitaria o extra CEE, vanificando così l’intero sistema di tracciamento appositamente predisposto[2]

Analogamente è stato ritenuto “lesiv(o) dei diritti della titolare del marchio…, l’accertata alterazione dei codici apposti sulla confezione dei prodotti, poiché tale alterazione integra l’ipotesi prevista dal secondo comma dell’art. 5 c.p.i. ed è sufficiente di per sé ad escludere l’applicabilità del principio dell’esaurimento del marchio”[3].

Più complesso è fornire un’esatta definizione di cosa possa rappresentare un motivo legittimo all’opposizione dell’ulteriore commercializzazione del prodotto.

In questo senso, ad esempio, la giurisprudenza da ultimo citata ha enfatizzato il “modo in cui i prodotti …vengono presentati … con immagini sfocate e affollamento di contenuti…accanto a prodotti di diversa natura merceologica e con marchi di profilo più basso”.

E proprio le forme di presentazione del prodotto e l’accostamento a prodotti di diversa tipologia o di target di riferimento più basso è da sempre considerato motivo legittimo per impedire l’esaurimento del diritto nei sistemi di c.d. distribuzione selettiva. In particolare, la giurisprudenza comunitaria[4] (cui in seguito si è conformata anche quella nazionale) ha ritenuto che l’interesse del titolare del marchio a tutelare l’immagine dei propri prodotti possa essere considerato motivo legittimo per impedirne la vendita da parte di soggetti non autorizzati e, dunque, non rispondenti agli standard imposti ai rivenditori della rete selettiva. Ciò, ovviamente, sussistendo i requisiti per poter validamente rivendicare un sistema di distribuzione selettiva, nonché un pregiudizio, effettivo o quanto meno potenziale, all’immagine di lusso o di prestigio per effetto della commercializzazione dello stesso che avvenga al di fuori della rete distributiva autorizzata”

Con più specifico riferimento al settore dell’arredo, e in particolare nella produzione di lampade di design, si è considerato che l’apposizione su “una componente essenziale della lampada… (della) denominazione sociale” del rivenditore “oltre che l'ulteriore indicazione della titolare del diritto” rappresenta “una scelta che -in essenza di una specifica pattuizione tra le parti parrebbe esondare delle facoltà del rivenditore, giacché il proprio segno denominativo. apposto su una parte essenziale del prodotto, creando dubbi sull'identità del produttore presso il pubblico ed ingenerando il dubbio che di tratti di una -inesistente e comunque non provata- coproduzione tra le due imprese in conflitto” specie laddove “il nome del distributore o del rivenditore apposto sul prodotto non sembra essere prescritto da disposizioni normative pubblicistiche, eventualmente idonee a rendere lecita la condotta qui censurata. Né infine la denominazione della resistente sembra essere stata apposta con finalità descrittiva ovvero con modalità conformi alla correttezza professionale secondo il dettato di cui all'alt 21 cpi[5].

Per il diritto d’autore, invece, l’art. 17 secondo comma LdA stabilisce più semplicemente che “Il diritto di distribuzione dell'originale o di copie dell'opera non si esaurisce nella Comunità europea, se non nel caso in cui la prima vendita o il primo atto di trasferimento della proprietà nella Comunità sia effettuato dal titolare del diritto o con il suo consenso”, senza quindi riferimenti espliciti al tema dei motivi legittimi e, soprattutto, alla modifica e all’alterazione dell’opera/prodotto: condotta che sembra tuttavia possibile considerare illecita (facendo quindi venir meno l’esaurimento) posto che la norma in questione è riferita al mero diritto di distribuzione dell’opera tel quel, potendosi ad esempio invocare il diritto di elaborazione dell’opera in caso di alterazioni o modifiche.

Non va poi dimenticato che, in materia di diritto d’autore sussiste anche il profilo della possibile violazione del relativo diritto morale d’autore (che spetta però al creatore dell’opera, non al mero titolare dei diritti di sfruttamento economico, e non può essere ceduto) disciplinato in particolare dall’art. 20 LdA a mente del quale “indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell'opera, previsti nelle disposizioni della sezione precedente, ed anche dopo la cessione dei diritti stessi, l'autore conserva il diritto di rivendicare la paternità dell'opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell'opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione”.
 

3. Esaurimento e mercato dell’usato nel settore dell’arredo e del legno

Alla luce di quanto sopra, sembra quindi esservi spazio, per il titolare di un diritto IP incorporato nel proprio prodotto, per opporsi alla rivendita, sul mercato dell’usato dello stesso, in particolare ogni qual volta:

  • il prodotto (ad esempio per esigenze di restauro, evidentemente non conservativo) sia stato alterato nelle sue componenti significative (sostituzione di materiali o componenti, modifiche funzionali ecc.);
  • siano stati rimossi o contraffatti codici e/o targhette atte a garantirne l’autenticità e/o la tracciabilità;
  • in un regime di distribuzione selettiva, il prodotto sia rivenduto in canali non coerenti con l’immagine di lusso del prodotto.

Ovviamente il tema dell’esaurimento non rileva nel caso in cui i diritti IP siano semplicemente venuti meno per scadenza: il che, nel mercato del vintage, può rappresentare un tema cui prestare particolare attenzione, visto che la “seconda vita” del prodotto può iniziare anche decenni dopo la prima vendita.

In questo senso, però, non va nemmeno dimenticato che, quanto meno per i marchi e il diritto d’autore, la relativa durata è potenzialmente perpetua o comunque molto estesa. Conseguentemente tali diritti possono astrattamente essere invocabili anche a decenni di distanza dal lancio del prodotto: durata storica dell’interesse nel mercato che anzi è spesso indicatore dell’effettiva sussistenza di simili diritti. 

Al contempo, l’esperienza del mercato sembra mostrare un certo interesse (soprattutto in ragione della tendenza dei consumatori a ridurre il più possibile il proprio impatto ambientale) anche per un mercato dell’usato “recente”, rispetto ai quali, ovviamente, il tema della scadenza dei diritti IP potrebbe non porsi in assoluto.
 

4. Il divieto di rimozione del marchio del produttore

Da ultimo, non va dimenticato che, con specifico riferimento ai marchi, l’art. 20 comma terzo CPI stabilisce che “Il commerciante può apporre il proprio marchio alle merci che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci.”. Cosicché laddove il marchio del produttore (che, inevitabilmente, può non essere solo un componente denominativo o figurativo ma, sussistendone i requisiti, può avere ad oggetto anche la forma stessa del prodotto) venga rimosso (o, rispetto alla forma, alterato), già questa sola attività potrebbe consentire al titolare del diritto di agire per arrestare la commercializzazione del prodotto contestato. 

E, con riferimento al mercato dell’usato nel settore dell’arredo e del legno in generale, non sono certo rari i casi in cui il prodotto originale (anche solo in ragione dell’uso) “perda” l’etichetta adesiva riportante il marchio del produttore o che essa venga “sostituita” da etichette riproducenti i (soli) marchi del rivenditore. Profilo questo che potrebbe insomma essere enfatizzato per bloccare (o, si ripete, governare) un eventuale mercato parallelo dell’usato.

Ed in questo senso, la giurisprudenza ha sottolineato che “quando il rivenditore rimuove, senza il consenso del titolare di un marchio, la menzione di tale marchio apposta sui prodotti (smarchiatura) e la sostituisce con un’etichetta recante il proprio nome … con la conseguenza che il marchio del fabbricante dei prodotti in questione venga interamente occultato, il titolare del marchio ha il diritto di opporsi a che il rivenditore utilizzi il marchio stesso per annunciare la vendita in questione. Infatti, in un simile caso, viene arrecato un pregiudizio alla funzione essenziale del marchio consistente nell’indicare e nel garantire l’origine del prodotto e si impedisce al consumatore di distinguere i prodotti provenienti dal titolare del marchio da quelli provenienti dal rivenditore o da altri soggetti terzi[6]


 


[1] https://www.bva-doxa.com/second-hand-ma-non-seconda-scelta/

[2] Trib. Milano 12 aprile 2023 Davines vs. Hair Gallery in www.darts-ip.com

[3] Trib. Milano 28 febbraio 2022 Chanel vs. Trilab in www.darts-ip.com

[4] CGUE, 23 aprile 2009, C-59/08 in www.curia.euorpa.eu.

[5] Trib. Milano, 13 ottobre 2020, W-Lamp vs. Pronao in www.darts-ip.com

[6] Trib. Roma, 15 novembre 2019, BSH vs For Green in www.darts-ip.com

Keywords
Proprietà intellettuale