La distribuzione selettiva quale strumento di tutela della propria rete vendita e del marchio
Tra controllo della propria rete di vendita e tutela del marchio.

La distribuzione selettiva può rappresentare anzitutto un essenziale strumento di controllo della propria rete di vendita: la sua caratteristica distintiva per cui è vietata la rivendita a soggetti estranei alla rete la rende, infatti, un sistema di commercio chiuso e altamente selezionato. Essa, però, viene a rappresentare anche uno strumento di tutela del proprio marchio, in quanto, in presenza di alcuni specifici presupposti, alla luce dei quali viene valutata la validità della distribuzione selettiva stessa, il titolare del segno e fornitore dei beni oggetto di vendita può bloccare la commercializzazione dei sui beni da parte di rivenditori estranei alla rete che pregiudicano l’immagine e la reputazione (oltre che della vendita, anche) del segno, contro i quali non avrebbe armi di natura contrattuale non essendo ad essi legato da alcun accordo commerciale.
La distribuzione selettiva viene definita dall’art. 1 del Reg. UE n. 330/2010 come quel sistema di vendita nel quale il fornitore/titolare del marchio fornisce i beni oggetto del contratto soltanto a distributori selezionati sulla base di criteri specifici, i quali si impegnano a non vendere tali prodotti a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema.
Il divieto di rivendita dei prodotti a rivenditori estranei alla rete rappresenta dunque l’elemento caratterizzante della distribuzione selettiva, grazie al quale essa si trasforma in un importante strumento di controllo sia della rete di vendita, sia (e per conseguenza) del marchio, essendo le modalità di commercializzazione uno degli elementi da cui far discendere il prestigio del segno.
In linea teorica, quindi, i rivenditori non autorizzati non dovrebbero entrare in possesso dei prodotti oggetto della distribuzione selettiva. Tuttavia, può accadere che alcuni distributori appartenenti alla rete, violando le regole contrattuali con il fornitore, vendano i prodotti anche a soggetti esterni ad essa.
In questo modo si creano forme di commercio parallelo, che si sviluppano attraverso canali fuori dal controllo del fornitore/titolare, spesso con modalità non rispettose dell’immagine e degli standard qualitativi che questi impone (e intende imporre) alla propria rete per preservarne la qualità e in ogni caso la rinomanza del segno, con loro conseguente pregiudizio.
I fornitori/titolari possono senz’altro agire nei confronti dei rivenditori “infedeli” per l’inadempimento del contratto e interrompere le forniture, ma, posto che le condizioni di vendita stipulate tra questi e i distributori hanno efficacia inter partes e non sono opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 1372 c.c., come possono tutelarsi nei confronti dei soggetti estranei alla rete?
La giurisprudenza nazionale, e ancor prima quella comunitaria, rispondono a questa (concreta) esigenza stabilendo che la sussistenza di un valido sistema di distribuzione selettiva può consentire al fornitore/titolare di opporsi ad una vendita non controllata – e, quindi, pregiudizievole – dei propri prodotti, oltre che del proprio marchio.
In particolare, la Corte di Giustizia (C-59/08 del 23.4.2009) ha precisato che l’esistenza e l’adozione di una rete di distribuzione selettiva potrebbe rientrare tra i “motivi legittimi” idonei escludere il c.d. principio di esaurimento del marchio, in forza del quale “le facoltà esclusive attribuite … al titolare di un diritto di proprietà industriale si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale sono stati immessi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello Spazio Economico Europeo” (art. 5 del Codice della proprietà industriale e art. 7, Dir. 2008/95/CE), a patto che:
- Il sistema di distribuzione selettiva sia conforme alle norme antitrust;
- il prodotto commercializzato sia un articolo di lusso o di prestigio che legittimi la scelta di attuare una distribuzione selezionata, e
- sussista un pregiudizio, effettivo o quanto meno potenziale, per effetto della commercializzazione del prodotto al di fuori della rete distributiva autorizzata all’immagine di lusso o di prestigio che il fornitore/titolare si prefigge di mantenere attraverso l’adozione del sistema selettivo di vendita.
Spetta al Giudice nazionale chiamato a giudicare se sussistono “motivi legittimi” affinché il fornitore/titolare del segno possa opporsi all’ulteriore commercializzazione dei suoi beni, verificare la soddisfazione delle tre condizioni di cui sopra alla luce delle prove versate dal medesimo nel giudizio promosso a carico del rivenditore estraneo alla rete.
La legittimità concorrenziale del sistema di distribuzione selettiva.
Il primo presupposto, quindi, che il fornitore/titolare deve essere in grado di provare ai fini di vantare un valido sistema di distribuzione selettiva è la legittimità del medesimo da un punto di vista antitrust: esso, infatti, è astrattamente idoneo a limitare la concorrenza sul mercato e dunque potenzialmente sanzionabile ai sensi dell’art. 101 TFUE.
Sotto questo specifico profilo, la legittimità di una rete di vendita chiusa è anzitutto garantita da una selezione che avviene alla luce di «criteri oggettivi …, riguardanti la qualificazione professionale del rivenditore, del suo personale, dei suoi impianti», che siano «stabiliti indistintamente per tutti i rivenditori potenziali» e «valutati in modo non discriminatorio» (in tal senso, la pronuncia CGUE, C-26/76 relativa ai c.d. “criteri Metro” di validità, e gli Orientamenti sulle restrizioni verticali della Commissione EU n. 175).
Più di preciso, i criteri individuati dal fornitore/titolare per selezionare i distributori possono essere qualitativi o quantitativi, oppure di entrambi i tipi. I criteri quantitativi limitano direttamente il numero dei distributori, ad esempio imponendone un numero fisso. I criteri qualitativi, invece, lo limitano indirettamente, attraverso l’imposizione di condizioni che non possono essere rispettate da tutti i distributori, ad esempio relative alla gamma di prodotti da vendere, alla formazione del personale addetto alle vendite, al servizio da fornire presso il punto vendita o alla pubblicità e presentazione dei prodotti.
I criteri qualitativi, inoltre, possono riferirsi anche al conseguimento di obiettivi di sostenibilità, ad esempio in relazione ai cambiamenti climatici, alla protezione dell’ambiente o alla limitazione dello sfruttamento delle risorse naturali (gli Orientamenti europei sulle restrizioni verticali prevedono espressamente quale possibile criterio selettivo qualitativo la richiesta ai distributori di fornire servizi di ricarica o strutture di riciclaggio presso i rispettivi punti vendita, o di garantire che i beni siano consegnati con mezzi sostenibili, quali biciclette da trasporto invece di veicoli a motore).
Il fornitore/titolare può anche ricorrere a criteri selettivi relativi alle vendite on-line: infatti, la Sentenza Coty della Corte di Giustizia (C-230/16, che rappresenta uno dei provvedimenti-guida in ambito di distribuzione selettiva) ha espressamente stabilito che la previsione di una clausola contrattuale che vieti ai distributori autorizzati di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme terze per la vendita a mezzo Internet dei prodotti oggetto del contratto non è di per sé incompatibile con il divieto di accordi restrittivi della concorrenza, purché i sopra citati “criteri Metro”, ovvero quelle condizioni che garantiscono la validità di un sistema di distribuzione selettiva in generale, siano rispettati.
Ancora, a fini concorrenziali, le quote di mercato del fornitore e del distributore non devono superare il 30% nel mercato rilevante in cui essi rispettivamente vendono e acquistano i beni o i servizi oggetto del contratto: se così è, gli accordi di distribuzione selettiva (come tutti gli accordi verticali), infatti, beneficiano di una presunzione di liceità, purché essi non contengano restrizioni fondamentali (le cosiddette “hard-core restrictions”), ossia restrizioni ritenute gravemente lesive dalla concorrenza, quali le indicazioni restrittive circa il prezzo da praticare al dettaglio (c.d. “resale price maintenance”) oppure le limitazioni circa i soggetti e i territori verso i quali è possibile vendere i prodotti.
Oltre a quanto sopra, già previsto dal Regolamento UE n. 330/2010, dal 1° giugno 2022, gli accordi di distribuzione selettiva devono pure rispettare le indicazioni concorrenziali previste dal Regolamento UE n. 720/2022, che, in supporto all’esigenza di cui ci stiamo occupando, ha altresì previsto, proprio per evitare elusioni del divieto di rivendita fuori dalla rete, la possibilità per il fornitore di trasferire (c.d. “pass-on”) la restrizione di vendite attive e passive a distributori non autorizzati, ovvero di chiedere ai propri distributori selettivi di imporre a loro volta, ai loro diretti clienti, un divieto di vendite attive e passive a distributori non autorizzati situati all’interno del territorio in cui il fornitore attua il sistema di distribuzione selettiva.
I prodotti di lusso e prestigio.
Accertata la validità concorrenziale del sistema di distribuzione selettiva, si andrà quindi a verificare se il bene oggetto della rete di vendita chiusa ha caratteristiche di lusso e/o di prestigio tali da giustificarne la sua adozione.
La giurisprudenza nazionale ha selezionato quali indici esemplificativi per l’individuazione di un prodotto di lusso e prestigio «la ricerca di materiali di alta qualità per il prodotto; la cura del packaging; la presentazione al pubblico promossa a livello pubblicitario da personalità dello spettacolo; l'ampio accreditamento nel settore di riferimento, desumibile dai numerosi premi conseguiti; il consolidato riconoscimento da parte della stampa specialistica».
E la Corte di Giustizia (C-59/08, cit.) ha altresì specificato che il carattere lussuoso del prodotto discende anche dallo stile e dall’immagine di prestigio che conferisce al prodotto stesso un’aura di lusso, con ciò distinguendolo da altri prodotti appartenenti alla medesima categoria.
I prodotti di design, sotto questo profilo, sono senz’altro qualificabili come prodotti di lusso e prestigio, anche a fronte della percezione che di essi ha il pubblico.
La sussistenza del pregiudizio.
In ultimo, condicio sine qua non è che dalle modalità di vendita del terzo rivenditore estraneo alla rete di distribuzione selettiva derivi un pregiudizio alla reputazione del marchio e all’immagine di lusso e prestigio del bene distribuito selettivamente.
La giurisprudenza, infatti, è estremamente chiara nello stabilire che “la sussistenza della rete di distribuzione selettiva, quand’anche lecita ed avente ad oggetti beni di lusso, non esclude di per sé l’esaurimento delle facoltà esclusive, essendo necessaria anche l’esistenza di un pregiudizio al marchio causato dal terzo in relazione alle specifiche modalità di commercializzazione dei prodotti” (T. Milano, 13.3.2016).
In alcuni casi, poi, ancor più rigidamente le Corti nazionali hanno pure prescritto che “per giustificare un’eccezione al principio dell’esaurimento non sarebbe peraltro sufficiente il pericolo o la possibilità di un grave pregiudizio, ma occorre la sua effettiva sussistenza. Ne consegue che il pregiudizio deve risultare da specifiche circostanze di fatto e che quindi non appare sufficiente allegare l’esistenza di una particolare modalità di vendita [cash&carry] da parte di terzi estranei alla rete, occorre bensì provare che tali modalità siano tali da arrecare, nel caso concreto, un grave pregiudizio all’aura di prestigio del marchio”.
A fronte di tale orientamento, dunque, non sarebbe sufficiente allegare l’esistenza di una particolare modalità di vendita da parte di terzi idonea ad arrecare un pregiudizio in potenza, occorrendo anzi provare che tali modalità arrechino un concreto pregiudizio all’aurea di prestigio del marchio, con conseguente maggiore difficoltà probatoria su questo punto per il fornitore/titolare.
La giurisprudenza comunitaria pare invece essere stabile nell’attribuire preminenza al fatto che il fornitore/titolare sia stato privato del controllo sulla vendita operata dal terzo estraneo alla rete, evidenziando infatti che il fatto che “il fornitore non ha la possibilità di controllare le condizioni di vendita dei suoi prodotti, determina il rischio di uno scadimento della presentazione di detti prodotti su Internet, idoneo a nuocere alla loro immagine di lusso e, quindi, alla loro stessa natura” (Sentenza Coty, cit.).
Alla luce di questa posizione sovranazionale più soft, parte della nostra dottrina è dell’opinione che sarebbe comunque ragionevole ritenere che ogni vendita che avviene al di fuori del controllo del fornitore/titolare sia idonea ad impattare negativamente sull’immagine di lusso del prodotto e dunque, in termini più generali, sulla rete di vendita e sul marchio, con conseguente possibilità per il fornitore/titolare di tentare di bloccare il proliferare di vendite che fuoriescono dalla sua sfera di verificabilità.