Diritto morale d’autore e designer.

Quali criticità per le imprese anche dove titolari dei rilevanti diritti patrimoniali sottesi all’opera?

Diritto morale d’autore e designer.

L’incedibilità dei diritti morali d’autore eventualmente sorti in capo all’autore di un’opera del design possono esporre le imprese a possibili ulteriori pretese del designer anche laddove il rapporto sia stato puntualmente disciplinato dal contratto con cui un’impresa ha commissionato l’opera al designer e in particolare sia stato previsto che gli eventuali diritti patrimoniali sui diritti d’autore sorti in seno al progetto commissionato siano di titolarità del committente? Quali sono i limiti di tali diritti e quali le criticità cui le imprese possono andare incontro?

Come noto, la L. 633/41 (c.d. Legge sul Diritto d’Autore. In seguito, per brevità, anche solo L.d.a.) disciplina, tra le altre cose, non solo i c.d. diritti di sfruttamento economico dei diritti d’autore ma anche i c.d. diritti morali.

Tra tali diritti, per quel che qui interessa, figurano ai sensi dell’art. 20 L.d.a., non solo il diritto dell’autore (ad esempio il designer di un’opera del design d’arredo) di “rivendicare la paternità dell'opera” (ossia, in concreto, di essere riconosciuto quale autore della stessa) ma anche quello di “opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell'opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione”.

L’art. 22 L.d.a. chiarisce che i suddetti diritti morali sono inalienabili e quindi non possono essere ceduti neppure al committente di un’opera (ad esempio il produttore del componente di arredo che attua il succitato design), persino laddove a tale committente siano stati invece ceduti i diritti di sfruttamento economico di tali diritti.

Occorre quindi chiedersi se l’esercizio da parte dell’autore dei suoi diritti morali, e in particolare quello riferito alla possibilità di  “opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell'opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione” possa spingersi sino al punto di consentirgli di impedire modifiche estetiche decise dal committente o comunque di vantare pretese (anche solo di tipo economico) in ragione di esse e/o per dare la propria approvazione alle suddette modifiche.

In quest’ottica, va puntualizzato che l’autore che dovesse lamentare la violazione del proprio diritto morale, potrebbe astrattamente chiedere all’autorità giudiziaria non solo l’inibitoria alla prosecuzione della violazione (che, in concreto, si risolverebbe nel divieto di ulteriore commercializzazione di prodotti in ritenuta violazione) ma anche ad ottenere un risarcimento del danno (essenzialmente morale) eventualmente sofferto (in questo senso, la giurisprudenza ha precisato come “sussiste un danno risarcibile per violazione del diritto morale quanto l'utilizzazione dell'opera in forma modificata comporti per le sue modalità un detrimento alla sfera personale dell'autore”: cfr. Trib. Bologna, 17 gennaio 2019, in AIDA 2019, 1, 704).

A livello generale, va subito osservato che la norma di riferimento (ossia il già citato art. 20 L.d.a.) consente all’autore di vietare unicamente le modifiche che “possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione” (quest’ultima, si badi, intesa essenzialmente come reputazione artistica) dovendosi considerare come tali unicamente le modifiche di impatto rilevante, tali da tradursi in un errato giudizio negativo, appunto, sulle capacità e la reputazione dell’autore (in questo senso, per tutti, cfr. Greco-Vercellone, I diritti sulle opere dell’ingegno, Torino, 1974, p. 114).

In questo senso, la giurisprudenza ha avuto modo di sottolineare come il pregiudizio all'onore ed alla reputazione, rilevante ex art. 20 L.d.a. “deve essere considerato sotto il profilo della lesione del diritto all'immagine personale, posto a tutela dell'immagine sociale, quale coacervo dei valori intellettuali, politici, religiosi e professionali, e dell'onore della persona, che deve ritenersi leso allorché la condotta dell'agente distorca la globalità e l'essenzialità dell'immagine dell'autore, determinando in altri un giudizio di disvalore e conseguentemente menomandone l'immagine” (così Trib. Roma, 20 settembre 2010, Sez. Spec. P.I. 2010, 1, 423) posto che “la tutela del diritto morale d'autore non si estende a qualsiasi modifica dell'opera ma riguarda, in sostanza, solo quelle modifiche che comportano un concreto pregiudizio per la personalità dell'autore” (così Trib. Napoli, 20 luglio 1996, in Dir. industriale 1997, 174). 

Per l’effetto non può ritenersi automaticamente sussistente un simile pregiudizio in ragione di una minima modifica estetica del prodotto come originariamente immaginato dall’autore. Il tutto, anche considerando come “L'autore … che abbia lamentato in giudizio la lesione del suo diritto morale d'autore … vede respinta la sua domanda se non dimostra i fatti sui quali essa è fondata” (così Trib. Bologna, 27 luglio 1995 in Dir. industriale 1996, p. 505) anche perché “Nella valutazione della lesione dell'onore e della reputazione dell'autore di un'opera deve procedersi non sulla base di una esasperata sensibilità dell'autore, ma di criteri oggettivi di riferimento, quali la sensibilità di una persona equilibrata seppure geloso custode della propria dignità, e tenendo conto, pur soltanto per valutare se vi sia o no lesione dell'onore e della reputazione, dell'importanza del merito o della destinazione dell'opera” (App. Milano, 19 marzo 2010 in Dir. autore 2011, 2, 269).

È insomma evidente che non tutte le modifiche apportate all’opera tutelata durante il suo ciclo produttivo risultino rilevanti ai fini dell’eventuale giudizio di violazione del diritto morale d’autore, dovendo le stesse essere valutate caso per caso. E’ però altrettanto vero che la modifica di un opera del design senza il contributo o comunque il consenso dell’autore può esporre al rischio di contestazioni da parte dell’autore stesso in forza dei suoi inalienabili diritti morali.

A tal proposito va quindi ricordato che l’art. 22 L.d.a., al secondo comma, stabilisce anche che “l'autore che abbia conosciute ed accettate le modificazioni della propria opera non è più ammesso ad agire per impedirne l'esecuzione o per chiederne la soppressione” norma che è stata letta dalla dottrina come fondata su un implicito riconoscimento da parte dell’autore della non lesività rispetto al proprio onore e alla propria reputazione delle modifiche approvate e di tutte le modifiche ad esse coerenti (così in particolare Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, p. 758). Il che comporta necessariamente non solo l’impossibilità di contestare modifiche espressamente approvate dall’autore (approvazione che sarebbe ovviamente sempre prudente per l’impresa richiedere preventivamente o comunque disciplinare a livello contrattuale, specie rispetto a modifiche “minori” ma “usuali”, come la modifica dei materiali costruttivi impiegati o le modifiche di dimensionamento) ma anche laddove nessuna contestazione sia giunta dopo alcuni anni dall’introduzione sul mercato del prodotto modificato. 

A ciò va poi anche aggiunto che il già citato art. 20, comma secondo L.d.a. dispone - si badi: con specifico riferimento alle opere dell’architettura! - che “nelle opere dell'architettura l'autore non può opporsi alle modificazioni che si rendessero necessarie nel corso della realizzazione. Del pari non potrà opporsi a quelle altre modificazioni che si rendesse necessario apportare all'opera già realizzata. Però se all'opera sia riconosciuta dalla competente autorità statale importante carattere artistico spetteranno all'autore lo studio e l'attuazione di tali modificazioni”. Disciplina, tuttavia, che almeno una parte della dottrina ritiene applicabile anche alle opere del disegno industriale: espressamente in tal senso si vedano Fabbio, in Riv. dir. comm., 2002, II, 37; Guizzardi, La tutela d’autore nel disegno industriale: incentivi all’innovazione e regime circolatorio, Milano, 2005, p. 89; Sanna, Il messaggio estetico del prodotto. La tutela d’autore della forma industriale. Torino, 2018, p. 132 e ss.; nonché P. Galli, in AIDA, 2004, 530. Il che, in tutta evidenza, comporta la facoltà per il committente di apportare all’opera le modifiche che “si rendessero necessarie”, intendendosi come tali quelle imposte ad esempio non solo da ragioni tecniche (per adeguare il prodotto a un nuovo processo produttivo) ma anche da ragioni giuridiche (ad esempio l’adeguamento del prodotto a requisiti normativi successivamente imposti) e persino economiche (contenimento costi. Molto più discutibile che l’autore non si possa opporre a modifiche dettate da mere ragioni di moda). 

Non va poi dimenticato che, ai sensi dell’art. 23 L.d.A., in caso di morte dell’autore, i relativi diritti morali possono essere esercitati anche da alcuni dei suoi eredi (e, in particolare, unicamente dal "coniuge e dai figli e, in loro mancanza, dai genitori e dagli altri ascendenti e dai discendenti diretti; mancando gli ascendenti ed i discendenti, dai fratelli e dalle sorelle e dai loro discendenti". Elenco da considerarsi tassativo (con esclusione quindi di fondazioni e simili!). In questo senso, ad esempio, la giurisprudenza ha ad esempio chiarito che “ai sensi dell'art. 23 l.aut. è pacifico che la moglie del figlio deceduto di un autore è carente di legittimazione attiva all'esercizio dei diritti morali d'autore”: così App. Firenze, 7 luglio 2017, n. 1569 in AIDA 2019, 540) e che “il diritto morale d'autore non è attribuito a soggetti diversi dalle persone fisiche” (Trib. Milano, in AIDA 2019, 1, 760).

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